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Cinque piccoli suicidi. Capitolo secondo.

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Presentimenti. Agnieszka. Dicono che le persone abbiano dei presentimenti. Agnieszka Grędzik-Wójcik giurò di averne avuto uno. No, non quel giorno. Il presentimento lo ebbe la notte prima delle nozze. Le era stato presentato da una zia che abitava a Kielce. Era il figlio dei suoi vicini di casa, un ragazzo timido, genitori anziani, studia ingegneria a Varsavia ed ha grandi ambizioni. Si frequentarono in casa, lui sembrava sempre così sicuro di sé. Notò presto che era bene non contraddirlo. Non che fosse violento in alcun modo, ma si irrigidiva, come se avesse incontrato un ostacolo insormontabile davanti a se e non sapesse mai come uscirne. Si fidanzarono il giorno della laurea e si sposarono al secondo anno del suo dottorato di ricerca presso l'università di Cluj-Napoca in Romania. Marek aveva cercato inutilmente di ottenere un dottorato in una università più importante, o che almeno non fosse in un paese dell'est europeo. Parlò per molto tempo dell'andare in Germania, di

Cinque piccoli suicidi. Capitolo primo.

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Aprì il cassetto. La salutò. Prese la corda. Si sedette. Stese i panni ad asciugare. Vi ripose la busta bianca ancora chiusa. Il nome e l'indirizzo erano gli stessi di ogni altra lettera nascosta lì, in quel cassetto del mobile del soggiorno, proprio sotto le posate buone. Nascosta ai suoi occhi, non a quelli indiscreti di chi poi volle leggere un motivo riparatore in quella corrispondenza impersonale. Se questa storia fosse stata un romanzo, avrei dovuto scrivere "esitò". Chissà perché ci piace pensare che si esiti sempre, nella discesa "lenta ed inesorabile", in quei momenti cupi che precedono il colpo sordo del proiettile o l'impatto con il ferro del treno regionale. Marek Andrzej Wójcik non si sparò un colpo di pistola e non si recò alla stazione di Mechelen ad attendere il treno delle dieci meno un quarto per Anversa. Nemmeno esitò, Marek, quella mattina di aprile. Era la sua vita, non un romanzo, eppure sapeva da sempre che tutto era già stato scritto.

Il Magico Paolo

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Il dolore arriva dopo. Lei lo capì da bambina, io per comprenderlo dovetti attendere i cinquantanni. La paura invece non ti sorprende mai e trascorre le notti seduta accanto al letto, materna, paziente, curiosa. La paura non dorme, gli occhi di civetta dietro la testa, i peli ritti sulla schiena, il respiro interrotto dai tuoi colpi di tosse. La paura, che un tempo doveva essersi sentita davvero sola nel vegliare instancabile ogni tuo sonno, aveva finalmente trovato una compagna. Giocano a carte, nel buio della stanza, senza dirsi una parola, e spesso ormai è solo la vergona a vincere ogni mano. Ventimila lire le prese dall'urna cineraria della madre. Si conoscevano da sempre, non le fu difficile scoprire dove custodisse i suoi segreti, e quei pochi risparmi che non voleva far trovare al marito. Meglio nell'urna cineraria che nelle tasche di qualche prostituta, dall'altro lato di quel muro di confine che, Berlino minore, divideva in due la città. Impiegato postale in eterna

La stessa distanza negli occhi.

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Era carina, o almeno così la ricordo, anche se nella mia memoria ha ora lo sguardo di un topolino triste, come se lo avessero disegnato in una giornata d'autunno. E delle foglie imbrunite aveva preso sia il colore degli occhi, che le sfumature dei capelli. Muoveva rapida le dita sottili dei suoi dodici anni sulle corde della chitarra. Leggevo una aggressività nascosta nella velocità con cui batteva sulla cassa con le nocche delle dita, nelle pause tra gli accordi. Ma forse ora sto ingannando sia me stesso che voi e non era rabbia quanto piuttosto l'imitare la confidenza della sorella maggiore. Il naso affilato, le gambe esili, solo la determinazione sembrava essere la stessa di quella sorella ingombrante come i seni che la piccola di casa non avrebbe mai avuto. La determinazione nello sguardo, le parole brevi, la distanza che sentivo nell'avvicinarmi a lei, attratto dall'incoerenza tra la sua timidezza e l'energia del suo cantare. Con la stessa distanza negli occhi